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Prof. Riccardo Venturini, Psicoterapeuta

Parliamo del corpo con Riccardo Venturini, Medico-chirurgo / Psicoterapeuta; già Prof. ordinario di Psicofisiologia clinica (Università degli Studi di Roma "La Sapienza").

Vorrei parlare con te del corpo. È un tema che tu conosci bene. Vuoi?

Volentieri, perché mi riconosco nell'affermazione sartriana che «il corpo è l'oggetto psichico per eccellenza, il solo oggetto psichico» anche se nel parlare del corpo scorgo qualcosa di costitutivamente inadeguato, una inevitabile forma di prevaricazione che mettiamo in atto, perché parlare del corpo viene a essere un parlare sul corpo. Ma so bene che trasformare il corpo in un parlante presenta grandi difficoltà e che dobbiamo evitare di cadere ancora una volta nell'ambigua nozione di "linguaggio del corpo", inteso come linguaggio non-verbale, oggetto di decodificazione e interpretazione da parte di un linguaggio "superiore". Il corpo, viceversa, è "l'oltre del linguaggio", l'operatore capace di fondare e nello stesso tempo capace di far saltare tutti i codici linguistici, non avendo - come la vita! - nulla da comunicare e da chiedere "essendoci già". Non era proprio questa "indicibilità" la platonica "follia del corpo", il suo essere radice della trasgressione e dell'estasi? Non è ogni pretesa di "decodificazione" una più o meno volontaria sopraffazione, espressione del dissidio tra sapere ed essere?

Sembra, si direbbe, che mai come in questo momento il corpo sia al centro dell'attenzione.

Sì, abbiamo avuto una vera riscoperta del corpo, almeno a partire dalle ormai classiche ricerche antropologiche di Marcel Mauss sulle "tecniche del corpo", ossia dei «modi in cui gli uomini, nelle diverse società, si servono, uniformandosi alla tradizione, del loro corpo», per continuare con le ricerche della scuola di Les Annales, gli "scavi" di Foucault per costruire una "archeologia del sapere", il lavoro di consapevolezza svolto dal femminismo militante, il crescente interesse per il corpo presente nella psicologia e nel più vasto insieme delle scienze umane, l'affermarsi di numerosi movimenti terapeutici e di autosviluppo. Ma non possiamo dimenticare tutto quel che c'è di contraddittorio, e anche di positivamente ambiguo, nel rendere il corpo, a un tempo, inventato e negoziabile, seducente e alienato, consumista ed (ecologicamente) in-nocente, poiché la nostra cultura post-moderna tende a sostituire i fatti con l'immagine e il "reale" col "virtuale", facendo coincidere il look con la persona (etimologicamente, "maschera"!).

I corpi, che i media (tv, giornali, magazine, riviste specializzate) ci mostrano sembrano corpi sani, liberi... è così?

Debbo dire che oggi mi sembra estremamente difficile individuare uno spazio, una verità del corpo nella nostra cultura: meglio esprimersi al plurale, nel senso che ci sono più spazi e più verità, con relative costrizioni e falsificazioni. Nella marcia per l'affermazione dei "nuovi diritti" (o diritti della persona) come diritti di autonomia individuale (anche in senso anti-istituzionale) a cui abbiamo assistito nel XX secolo il corpo è in primo piano. Si è espressa infatti l'esigenza di limitare l'ingerenza dello Stato e della società in ordine ai problemi sessuali, alla riproduzione, ai diritti degli omosessuali, alla libertà di cura e di non-cura, al diritto di morire con dignità quando e come si disponga. Il corpo è divenuto uno degli spazi privilegiati in cui esercitare libertà e spirito di dominio, con la giustificazione motivazionale di sottrarlo, e di sottrarsi, quanto più possibile ai determinismi imposti da fatalità naturale e vincoli sociali.
Lo sviluppo delle biotecnologie crea o ha la potenzialità di creare un ipercorpo ibrido e mondializzato che cambierà in prospettiva la stessa coscienza dell'identità personale. In progresso di tempo, il corpo sarà sempre più invaso da circuiti e immerso in reti di comunicazione, e si potrà avere una disseminazione progressiva nella rete non solo di parti o funzioni (come attualmente accade con la voce o l'immagine) ma di tutto il corpo... Attraverso un crescendo costituito da cosmetica, esercizi, diete, moda, modificazioni anatomiche ottenute con la chirurgia estetica, il corpo è una palestra di illimitata inventiva. Si vengono modificando forma e funzioni, e con queste significato e finalità di condotte tradizionali. Il vestito serve non soltanto a vestire e proteggere, ma a svestire, travestire, ridisegnare; l'alimentazione e l'esercizio mutano parametri corporei dei corpi "palestrati". Consideriamo, come esempio, la valorizzazione del prevalere dell'altezza pubo-plantare su quella cefalo-pubica (caratteristica della costituzione longilinea), che oggi fa registrare come massima lunghezza delle gambe femminili quella di 127 cm (su un'altezza totale di 185 cm)! Nella pubblicità si tende poi a enfatizzare questo orientamento anche con l'elaborazione digitale delle immagini.
Il corpo di desiderio impone costrizioni e genera delusioni che si traducono in diffusi rifiuti, dismorfofobie e anoressie (meglio essere informi che deformi, meglio evanescenti che insufficienti!); le immagini inventate, oniriche, grottesche e oltraggiose di David La Chapelle, il "fotografo del terzo millennio", o quelle iperrealiste, bioniche, erotiche e perverse del disegnatore Hajime Sorayama divengono lo specchio di un mondo edonistico, sovrapposto ed esausto; tra gli "artisti corporei", la Orlan si sottopone a deformazioni chirurgiche per creare realizzazioni di una bellezza innaturale; Stelarc, proclamato che «il corpo è obsoleto», usa protesi, robotica, realtà virtuale, Internet per esplorare possibilità di ibridazione tra il corpo e le macchine, e Bodies©Inc si propone come una comunità virtuale di avatar, proiezioni dell'utente sul Web, finalizzate a creare una vita artificiale parallela a quella "reale". Si prospetta finanche la realizzazione di un futuro "post-umano" o "trans-umano", in cui l'affermazione della libertà creativa porterà ad alterare profondamente l'essenza della "natura umana". Personalmente, sono affascinato e perplesso di fronte a questi mutamenti, ma quali sono i confini della salute e della libertà?

È ancora vero che il corpo è la sede dell'anima?

È sempre vero ma in forma diversa, direi in forma più matura e consapevole; inevitabilmente, poi, legato al significato che diamo ad anima. Il problema, a questo punto, diviene quello di realizzare un qualche tipo di armonia tra i due (il corpo e l'anima). Vorrei ricordare che il termine "armonia" esprime sì con-sonanza e accordo ma appartiene alla stessa famiglia di armé (= unione, sutura) e di àrma e àrmata (= attacco, carro e cavalli, carro da guerra): essa non è, dunque, un dato, ma un obiettivo da raggiungere, una condizione da realizzare dinamicamente, lontana da quanto una dolciastra visione neoromantica o new age potrebbe suggerire con un richiamo facilone a paradisi futuri o passati, pronti a (ri)comparire non appena si esca dall'attuale età negativa. Vorrei qui riferirmi alla tradizione buddhista, nella quale vediamo come sia assente l'idea di una armonia pre-stabilita tra mente e corpo, ma come ad essa ci si possa avvicinare seguendo una impegnativa disciplina. Infatti, la tradizione ci tramanda che il giovane principe Siddhartha, dopo un'infanzia e un'adolescenza vissute negli agi della regale residenza paterna, "scoprì" il mondo della malattia, della vecchiaia, della morte e come, profondamente turbato, Egli abbia iniziato quel processo di trasformazione personale che lo portò alla formulazione del suo messaggio di liberazione. La prima delle cosiddette "quattro nobili verità", di cui si sostanzia il suo insegnamento, è, infatti, la verità della sofferenza, una sofferenza primariamente legata al corpo, per cui la via indicata non è quella di un ritorno a un mitico paradiso perduto o a un felice "stato naturale", ma quella della conquista di una nuova impostazione dei rapporti che legano tra loro tutti i fenomeni, in una rete infinita di interdipendenze, costruita attraverso una laboriosa, paziente, incessante pratica delle paramita o virtù. Se la coscienza separa, il corpo unisce perché in esso è la vita e il mondo. Esso diviene pertanto il principale mezzo di addestramento e di pratica spirituale, intesa come costante attenzione alle cose ultime e alla dimensione sacra della vita. Proprio là dove incontriamo dualismi, fratture e conflitti sembrano risiedere anche le possibilità di soluzione e di via di uscita, per quel paradosso che fa dire a S. Paolo, «laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm., 5, 20 s.). In altre parole, la dottrina della Via di mezzo viene a configurarsi come una visione dialettica della realtà e dell'esperienza, in cui il senso e l'autorealizzazione sono visti come il riscatto ottenuto con la visione del finito come infinito, del determinato come Assoluto, del molteplice come Uno, del samsara (il mondo determinato, dualistico e imperfetto) come Nirvana (il mondo incondizionato e la liberazione dalla sofferenza). Trascendendo le opposizioni e i dualismi nella consapevolezza della partecipazione alla Vita universale, eternità e flusso temporale, essere e non-essere, beatitudine e sofferenza si rivelano coincidenti. Quello che la dottrina della Via di mezzo propone dunque è una concezione della corporeità come campo, strumento e veicolo di spiritualità, al di là di tutti i dualismi: proprio ciò che sembra mancare nell'attenzione al corpo tipica dell'attuale laicità.

Giugno 2001